CUTURNICI

 

 In questi giorni d’autunno inoltrato, ultimo scampolo di una stagione di caccia alpina, troppo breve come ogni anno, ma già prodiga di soddisfazioni ed intense ancor palpitanti emozioni, un solo cruccio ritorna incostante ma frequente a fluttuare nella mente, come l’ ombra di una piccola foglia mossa dalla brezza in un radioso  meriggio : “ Quel voletto di coturne……dove sarà ?” 

Le incontrammo la prima volta, quasi per caso, il giorno dei censimenti, da allora quasi ad ogni uscita di addestramento fino alla vigilia, ed ogni volta cancellammo  con cura i segni evidenti del loro passaggio sul sentiero  più frequentato.
All’apertura ci presentammo a casa loro a colpo sicuro ma, come spesso accade quando a caccia sei certo, di loro non trovammo traccia alcuna, come non ne trovammo per le settimane che seguirono, sparite, svanite nel nulla, lasciandoci solo sparsi ricordi  ormai secchi e disgregati dal sole, come le nostre residue speranze.
Poi un giorno tracciando ungulati la grande sorpresa: quei cilindretti bianchi e grigioverdi  sul sentiero sotto la cima del monte Castello erano per noi come  preziose pepite. Ritrovate, sono tornate!

Il mercoledì ci tornammo battendo prima insieme le creste, poi divisi, il mio compagno lungo il sentiero ed io dall’alto a chiuder loro la via di fuga.
Massimo le vide già in volo, partite ben prima del mio arrivo, ad ali chiuse fiondarsi verso il basso, lontano da uomini e cani.
Nel cercar la rimessa, la stanchezza mi impedì di recuperare un passo imprudente e la gamba destra sprofondò tra i rododendri incastrandosi in un buco tra le rocce. La caduta all’indietro, con torsione al ginocchio mi convinsero a più miti propositi obbligandomi alla via del ritorno.
Il sabato sera, un fastidioso risentimento tendineo alla gamba destra e dei lancinanti dolori ai legamenti in rotazione, erano più che sensati motivi per rinunciare, oltre tutto sarei stato solo a salire, e l’idea di ritrovare la beccaccia, scampata al fragoroso saluto dell’ amico Vittorio, nel pomeriggio in riserva, sarebbe stata valida ed allettante alternativa.

Non sapevo decidermi. Cincischiavo con le “cose di caccia” preparando ora l’una ora l’altra uscita, poi quasi alle ventidue: Ciao Vittorio, sono Flavio, mi dispiace ma domani salgo, ci voglio provare, se mi riesce di scendere presto vi raggiungo in riserva o per pranzo.
 
Rinuncio allo zaino per viaggiare leggero, niente borraccia ne micca, ne ghette, ne cambio, solo fucile, cartucce, fotocamera e due pacchetti di barrette di sesamo e miele. Alle 6 e 30 lascio la macchina, nell’aria è tutto uno spincionare di fringuelli ed il pensiero corre agli amici vicini e lontani nei loro boschi intenti a strologare il cielo prima di sciolgliere i cani.

Non ho fretta ma il passo è spedito, fa freddo ma meno di quanto pensassi, alla cappelletta di Santa Catlina la giacca è già appesa per le bretelle alle spalle. Ad ogni radura del bosco dò il via ai cani per farli sfogare, poi li richiamo e rimetto al dietro per non farli sfiancare. Alle due fontane bevo contro voglia lente sorsate d’acqua gelida che spezza i denti ed incrina lo stomaco. Sopra, l’inverno ha già aperto la porta, i rigagnoli nelle gole ombrose sono già lastre di ghiaccio e la brina sui versanti alla riversa si va stratificando notte dopo notte; mi accorgo anche della prima, timida spolverata di neve. Gli ontaneti sono ormai completamente spogli, nel giallo dei  pascoli bruciati dal gelo spiccano le verdi macchie dei rododendri che abbracciano sfasciumi di rocce grigie.

All’ Alpe Ambrogio.. alè viaa !! Ed I cani si lanciano in corsa sfrenata lungo i pendii. Da qui al monte Castello ci sono ancora buoni 30-40 minuti di caccia seguendo i sentieri, la montagna addolcirà nel frattempo i loro garretti, inducendoli ad usare anche naso e cervello. Passata l’ Alpe Vocani il sentiero comincia a salire verso l’Alpe  Castello ed il sole, ormai alto, mi fissa diritto negli occhi; lo avevo previsto e mi infilo un paio di occhiali scuri, da adesso ogni momento è propizio. I cani affondano ora la cerca nel paglione  sottostante per poi risalire e precedermi lungo il sentiero, non voglio e li richiamo sommessamente, Or rientra Artù no. Allungo il passo,  perchè l’ ho perso di vista ma, superata la gobba, me lo ritrovo a ridosso schiacciato in ferma sul sentiero rivolto verso il basso, Or consente.

Stringo il fucile ed avanzo con prudenza, nulla, ancora un passo, i  cani rompono, scendono dal sentiero, guidano verso il basso per alcuni metri poi girano a sinistra e prendono a salire, ma perdono il filo ed allargano verso monte per tentare di ricucirlo. Fatte fresche sparse sul sentiero indicano una loro recente presenza.
Mi affretto,  per quanto possibile, dovendo muovermi in luogo disagevole senza perderli di vista, nel tentativo di raggiungerli prima che arrivino ai pascoli dell’ Alpe Castello, invano.
Li trovo affiancati sul crinale che interrogano il vento ma incerti, rompono e discendono seguendo il vento sull’altro versante in veloci puntate, poi ritornano e riprendono a segnare forte lungo il crinale finchè Or si blocca deciso in corrispondenza di una vecchia rumata di cinghiali, muove alcuni passi verso destra, e  lentamente,  plastico ed elegante, a collo proteso inizia scendere, Artù è in consenso. Mi sono girate intorno, penso, ed ora stanno scendendo sullo stesso versante da cui siamo arrivati. Siamo su una striscia di  paglione ripido e scoperto il cui limite inferiore strapiomba in pauroso salto di roccia.
Non possono essere tanto vicine e reggere. Infatti i cani si disuniscono e prendono  a scendere decisi, dopo una ventina di metri Or mi è sempre dinnanzi mentre Artù ha passato una gobba sulla sinistra ed è sparito.  Manca già da qualche minuto, la tensione comincia a farsi sentire, mi affretto a raggiungere la dorsale per controllare oltre cosa succede e lo scorgo schiacciato in ferma verso il basso che mastica l’aria deciso.
Ci siamo !
E’ un canalino erboso stretto tra la  gobba che ho appena superato ed una ruga rocciosa dal lato opposto, largo poco più di una decina di metri, che dal crinale scende deciso verso il basso per finire anch’esso nel vuoto. Una decina di metri davanti al cane e ad altrettanti dal precipizio uno sparuto gruppo di ontani nani, tutt’intorno paglione di erba ollina, Or è in consenso sulla mia destra, qualche metro più in basso sono lì dentro, ne sono certo, avrò poco tempo per sparare senza perdere il capo, ma questa volta frulleranno, devono frullare …eccole ! ! !

Scelgo quella più esterna sulla destra e stringo stracciandone il volo, cade sul bordo ma …porca trota ….rimbalza sparendo oltre il ciglio….Or si è precipitato al riporto e sullo slancio ….acc… noooo …giù anche lui.
Non è possibile, mi si sciolgono le ginocchia e ..mi lascio a sedere. Non so capacitarmi, è un cane esperto ormai equilibrato, come può aver commesso una simile imprudenza, attendo ancora. Non riesco a decidermi di andare a guardare, i minuti passano, raccolgo il coraggio e le forze ma… il suo testone ricompare reggendo tra le labbra uno splendido fiore di roccia, il bellissimo dono che il monte mi ha lasciato staccare.

I cani sono esausti ed anch’io, mentre accarezzo il cotorno mordono la brina per cercare sollievo.
Ora scendo con passo veloce e leggero lungo il sentiero che corre sul versante in ombra sotto l’ Alpe Oraccio, mentre aspetto Artù che, disobbedendo s’attarda tra rododendri ed ontani, osservo il lento volo di un’aquila sopra la Colma.  Non arriva, ritorno sui miei passi di una trentina di metri e lo trovo fermo sotto gli ontani,  pochi metri sopra una traccia di animali che traversa il fianco verso il pascolo. Rimango a braccia conserte, fucile alla spalla e sorrido al gallotto, che con frullo veloce e potente mi sfila davanti per guadagnare il vuoto e poi sparire lontano sfalcando leggero a sinistra aggirando il fianco del monte. Vai giovane gallo, sui ghiacci delle arene in aprile spargerai il seme che darà nuova vita e alimenterà la mia passione nella prossima stagione.
Il fruscio dei  passi  accompagna il nostro incedere nella faggeta tra le foglie  fino ai polpacci, ai mie occhi ed al mio cuore un rosso tappeto, sontuoso e regale sulla via del ritorno.

Ringrazio Dio ed il Monte benevoli per questi giorni felici.

 

 


Lirurus Tetrix

 

 

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