LA SQUADRA

 

Quella pioggia fine che  non fa nessun rumore, nemmeno sul  cappello, scortata da una nebbiolina che gioca a nascondarello. Parto dalla cascina con un insolito ritardo, nella  testa i soliti ricordi e nelle gambe la stanchezza  di tre mesi di caccia.

Pochi minuti e sono sul sentiero che scende, Dea lo imbocca subito e dopo qualche metro lo lascia per infilarsi giù nella “fonda“, il solito giro!

La seguo, lascio a lei condurre il gioco, è lei il regista; a volte mi sembra di essere un  semplice figurante. In una ventina di minuti con  scrupolosità perlustra tutta la fonda, sono anni che caccia beccacce in questa zona e conosce tutti i suoi angoli buoni.

Non trova  nessun indizio e quindi ci allarghiamo verso destra  nel bosco di betulle, la nebbia è più ovattata, ma ho ancora una buona visibilità di 50/60 metri. Betulle di media grossezza ma molto alte, sotto felci color rosso mogano, chine nella  parte alta per il peso di tante esigue  gocce d’acqua formano numerose onde, ancora più sotto, un tappeto di foglie color giallo di tutte le tonalità, con qualche filo d’erba verde. Il silenzio mi attornia, rotto solo da qualche gonfia goccia d’acqua lasciata dagli alberi che mi batte il cappello e dal campanello che Dea porta al collo. Una magica atmosfera mi accompagna e lì i pensieri corrono, corrono veloci.

Ridestano ricordi malinconici e tristi di giorni di caccia passati e tutto va a mescolarsi con la nebbia. Proseguo.

Mi accorgo che qualcosa è cambiato, il silenzio è strano…. il campanello!

Non sento più Dea, preso dai miei pensieri l’avevo persa di vista. Giro un attimo e la  scorgo in ferma con la testa alta nelle felci. Faccio un giro e mi posiziono dietro di lei,è il posto che preferisco così la posso forzare. Controllo bene le vie di fuga e poi  sollecito Dea a guidare. Si muove con molta  prudenza, dopo qualche metro rompe e con meticolosità cerca di agganciare un odore più forte, ma niente. Forse perché il terreno è privo di ripari la fata si è data alla fuga al primo segnale di  pericolo. Non mi scoraggio, anzi, sorrido e dentro  di me penso: se sei nei paraggi la mia socia non perdona e ti verrà a trovare.

Sussurri di vento disperdono la nebbia e con lei i miei pensieri. Ora l’unico pensiero è Dea e il suo campanello, anche se non ha più il ritmo degli anni passati, un po’ per l’età e un po’ per prudenza, ma siamo una squadra un coppia affiatata, ci intendiamo ed adattiamo l’uno all’altra. Il suo cercare è razionale e composto, dettato da un istinto innato e dalla esperienza. Di tanto in tanto il tintinnio si interrompe, mi cerca e guarda dove sono, con un leggero fischio segnalo la  mia posizione, e via. Arriviamo alla “costa di rimessa”, così  la chiamo, Dea mi anticipa e quando anch’io arrivo sulla cima, lei ha già controllato il primo pezzo senza risultato. Mi guarda, aspetta un cenno per la direzione da prendere,  indugio un po’, rifletto, meglio scendere per fare tutta  la cresta fino in fondo. Faccio un segno e comprende al volo.

Mancano un quindicina di metri alle rocce, ferma! La raggiungo e mi posiziono dietro, qualche attimo e rompe, fa diverse guidate seguite da ferme a destra e sinistra, fino ad arrivare al centro dei due speroni di roccia, separati  da un canale  stretto e di colpo molto ripido, coperto solo da  boschi di nocciolo. Eccola immobile con quel tipico sguardo attonito, che non si concede nessuna distrazione. Intuisco che questa volta l’ha proprio nel naso, ma non sa esattamente la posizione. Mi preparo ad ogni via di fuga, e penso che se sbaglio non ci sarà un’altra rimessa. Sono attimi con particolari sensazioni, due cuori in uno che battono per la medesima ragione, attimi dove il tempo sembra fermarsi, attimi dove le realtà quotidiane svaniscono……  Un frullo leggero vicino alla roccia di destra ci risveglia, parte la beccaccia, l’ intravedo anche se coperta da un nocciolo, un colpo rompe il fascino di questi minuti, mi accorgo d’averla colpita ma non riesco a trattenere il secondo colpo che va a finire sopra.

Vedo la sua caduta scompigliata giù per il canale e prevedo un recupero difficile.

Dea comincia la discesa io dietro con prudenza, scendiamo parecchio, dopo un po’ eccola! Abbiamo  fra le mani o meglio nella sua bocca  l’ambita preda, la regina del bosco.

Faccio  un lungo giro per rientrare e mentre salgo,  appagato, mi complimento per il non facile tiro. Riflettendo sull’episodio, penso Dea come ad un mediano, quello che  svolge tutto il lavoro di fatica, di preparazione, ed a  me come la punta, quello che  aspetta la palla e la tira in porta e, se segna, pare  che sia bravo solo lui, a lui solo meriti ed onori.

Ma mi riprendo subito, noi due siamo una squadra!!

 

 

Novembre 2006 G.R.

 

 

 

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